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Intervista alla Dottoressa Irene Palazzi

Oggi ti presentiamo l’intervista alla dottoressa Irene Palazzi: 

Buona lettura.

1) Può dare ai nostri lettori una panoramica generale del suo percorso professionale?

Mi laureo nel 2011 in Dietistica (SNT -3) a Brescia, una laurea triennale tra quelle delle professioni sanitarie.

Nel 2012 partecipo al primo corso di Zone consultant e nel 2017 al secondo. Nel 2016 mi laureo alla laurea magistrale in Scienze dell’alimentazione (LM-61) a Firenze.

Nel corso degli anni, da che ho ottenuto la prima laurea ho iniziato a frequentare ospedali sia come volontaria presso l’ ospedale di Desenzano del Garda (BS) e l’ospedale Bolognini di Seriate (BG)

che come dietista borsista  presso Ospedale maggiore di Borgo Trento (VR) .

Nel 2015 inizio anche a ricevere privatamente come dietista libera professionista.

Conclusa la laurea magistrale, dal 2016 mi dedico esclusivamente alla libera professione, ricevendo pazienti privatamente in studi ed ambulatori nella provincia di Brescia e Verona.

La mia passione però parte da molto piccolina:

all’età di 10 anni avevo già intuito che i gruppi alimentari avevano un loro significato preciso e all’età di 12 anni rubavo depliant che trovavo nelle sale d’aspetto degli ambulatori che illustravano e spiegavano le regole per avere una corretta alimentazione.

Già all’epoca iniziavo ad intuire però che non poteva essa esaurirsi in così scarse indicazioni e di carattere generali, uguali per tutti.

Volevo sapere di più. Nel 2007 ricevo l’imprinting con il mio mentore Aronne Romano, medico nutrizionista, con il quale sono tutt’ora in contatto, che mi fece scoprire la Zona

– il regime nutrizionale che mi ha personalmente cambiato la vita non solo al livello professionale-

portandomi a performances di carattere intellettuale e resistenza alla fatica fisica e mentale che mai avrei creduto di poter sostenere.

Uscii dal liceo scientifico nel 2007 con un punteggio di 64/100, peso 59 kg per 1,62 altezza.

Iniziai la dieta Zona (non quella delle barrette, ci tengo a sottolineare) nell’estate del 2008 (al tempo ancora assumevo glutine, ahimè) e nel ottobre del 2008 riuscii a superare il test di ingresso a numero chiuso per l’accesso al corso di laurea in Dietistica (a disposizione c’erano 10 posti, entrai come terza)

e mi laureai con 110/110 e lode, arrivai a perdere 6 kg di sola massa grassa, passando i tre anni di studio frequentando il tirocinio obbligatorio e lavorando come barista nei weekends e nelle sessioni d’esame.

Adesso, non ditemi che l’alimentazione non conta!?

Le scoperte si ampliarono. Conobbi nel 2015 quello che per me può essere il modo meno peggiore attualmente a portata d’uomo per alimentarsi in armonia con la natura, perché egli è parte di essa:

Paleozona. Il tutto nella giusta regola con l’eccezione che fa parte di essa dato che permette il meccanismo dell’ormesi, conservando pertanto la facoltà di ricerca dell’organismo del suo equilibrio allostatico.

Ho conosciuto personalmente Lorein Cordain, Barry Sears. E sono tutt’ora in stretto contatto con altri colleghi medici, dietisti e nutrizionisti che credono e continuano a studiare con passione la medicina e la nutrizione funzionale.

Un minimo di onestà intellettuale ci porta a ragionare sull’ovvietà che i nostri genoma e microbioma siano ancora di stampo pre-civilizzazione, pre-agricoltura, pre-stanziamento, pre-allevamento (intensivo!).

Il problema a mio avviso è la società moderna, che purtroppo tende ad interpretare il ruolo di un terreno per i quali non c’è spazio darwinianamente parlando per la crescita dei semi di un’alimentazione sana autentica ed onestamente in armonia con la natura,

non sono i principi sani in armonia con la natura, ma che per di più sviluppa o slatentizza disturbi alimentari più o meno ascrivibili ad un profile definito o più sfumato.

I miei temi preferiti – sono tutti! – a cui dedico più ore di studio, sono:

l’alimento e il nutriente come primo farmaco e come prevenzione alla salute, asse intestino-distretti dell’organismo, il microbiota intestinale, nutrizione di genere, stress fame e sazietà, cibo: vuoto e mancanza dal punto di vista psicologico.

2) Di cosa si occupa, ad oggi, nello specifico?

Ad oggi prendo in carico pazienti inviati da medici o che scelgono di loro iniziativa di intraprendere un percorso di cambiamento dello stile alimentare.

La maggior parte dei pazienti chiede supporto per la gestione del peso, che molto spesso sottende la necessità di un supporto psicologico parallelo.

Altri necessitano di indicazioni specifiche perché affetti da condizioni patologiche (per la maggior parte patologie cardiovascolari, autoimmuni, problemi gastroenterologici ad ampio spettro).

Altri ancora hanno entrambi i bisogni.

 3) Che definizione darebbe alla sua metodologia?

La mia metodologia si orienta su quello che chiamo “un compromesso sostenibile” e per la persona che prendo in carico e, per quanto possibile per l’ambiente, ponendomi come fine ultimo il benessere della persona che sta chiedendo il mio aiuto di professionista della salute.

4) In cosa, la sua metodologia, si differenzia rispetto a quella dei suoi colleghi?

Posso dire che la mia metodologia si differenzia sull’approccio alla persona:

spesso mi capita che il conteggio, il numero, la percentuale venga messa in secondo e terzo piano.

Lavoro su più fronti, rispettando il gusto della persona, cercando di emanciparla dalla sua condizione di partenza per portarla ad un livello di consapevolezza migliore per se stessa.

Pongo l’attenzione sulla qualità prima degli alimenti che contengono nutrienti e sulla sinergia di questi ultimi nell’organismo, una volta varcate le barriere psichica, psicologica e dell’apparato digerente.

5) Che benefici porta, ai suoi clienti, sia nel breve che nel medio/lungo periodo la sua metodologa?

Tra i benefici che i pazienti che seguono possono esperire è sicuramente il cambiamento spesso radicale, meno spesso parziale, delle abitudini e dello stile di vita in generale.

Il paziente si risveglia dal suo automatismo alimentare, è più consapevole delle scelte ed omissioni che prende rispetto al cibo nei vari contesti di vita quotidiana, lavorativa ed extra routinarie (vacanze, ospitalità , viaggi all’estero).

Miglioramento dei valori safe dei parametri umorali e dei risultati strumentali che segnalavano uno stato di alterazione di funzionalità d’organo o di una condizione patologica sistemica, miglioramento della composizione corporea

6) Quanto pensa influisca la qualità del cibo assunto nel mantenimento di una salute ottimale? Può fare, eventualmente, la differenza anche in caso di specifiche patologie o per il raggiungimento di determinati obiettivi?

La qualità prima del cibo può influire marcatamente in certi casi sullo stato di salute del paziente, previa una buona istruzione al sentire del paziente stesso, in quanto si toglierebbe in questo modo un fattore confondente sull’effetto finale che avrebbe cibo, la psiche.

Inoltre più il cibo sano ed integro e più non vi è depauperamento di nutrienti e di presenza microbica positiva per l’uomo, dato che siamo fatti per quasi il 90% da microrganismi.

E viceversa, si può ovviare all’aggiunta di conservanti (quelli dei quali si può fare a meno).

Nello specifico, si possono avere benefici maggiori per le patologie autoimmuni, per esempio psoriasi o legate a disordini gastrointestinali, intestino irritabile, IBD o leaky gut (intestino permeabile).

La non presenza di contaminanti nel cibo e di sostanze trigger ed infiammatorie è fondamentale per la remissione o l’attenuazione dei segni e dei sintomi di tali condizioni cliniche.

 7) Le è capitato qualche cliente che ha posto rimostranze riguardo i costi di alimenti e/o integrazioni consigliate? Qual è la sua risposta in merito?

di fronte ad obbiezioni sulla sostenibilità economica delle indicazioni alimentari date (il che comprende anche il consiglio di acquistare eventuali integratori e cibo integro di qualità),

cerco di spiegare al paziente l’importanza della prevenzione primaria o secondaria,

spiego che sto offrendo lui la possibilità di utilizzare strumenti preziosi per il raggiungimento del obiettivo e, calibrando un tono più o meno assertivo, giungo ad un compromesso che di solito si rivela vincente, in diverse tempistiche.

Ad ogni modo illustro le potenziali conseguenze (nulla è certo se non l’incertezza del risultato scientifico) in caso intraprendano la strada che non comprende l’indicazione che avrei dato come prima scelta.

 8) Come si pone nel dibattito  carne rossa si/carne rossa no?

 In breve: mi avvalgo della lettura specifica, ovvero dell’articolo dal quale si è estrapolato il claim salutistico divulgato dall’OMS.

Spiego che:

  • in questo articolo per carne rossa si intende un pezzo di carne lavorato avente un elevato tenore di grasso, conservanti ad alta concentrazione.
  •  per avere l’effetto POTENZIALMENTE negativo bisogna farne uso quotidiano senza che un contemporaneo utilizzo di antiossidanti e sostanze scavegers, in genere ricavati dal mondo vegetale e minerale.
  • l’uomo ha potuto evolversi al tempo del paleolitico (secondo ciò che mostrano gli studi paleoantrologici ed evoluzionistici) grazie alla scoperta della cottura della carne, implementando grazie alla quota di DHA ed EPA (acidi grassi essenziali della classe omega-3, meglio conosciuti come “grassi buoni del pesci”) le capacità cognitive, aumentando il volume del cervello diminuendo nello stesso tempo quello dell’intestino.

Quindi procedo sottolineando il concetto di scelta consapevole verso una carne vera (che sia bovina o equina o suina o caprina), specificando che il colore rosso non deve confondere, che deve provenire da allevamento a pascolo ed erba,

che il tenore di grassi potrebbe anche essere elevato ma la valenza biologica (omega-3 e non omega-6) e le proprietà organolettiche (maggior quantitativo di minerali come zinco, vitamine aminoacidi essenziali, sapore e palatabilità)

di tale carne lascerebbero uno scarto strategico nettamente ampio per un fine salutistico favorevole per l’uomo, rispetto alle carni convenzionali da allevamento intensivo.

Inoltre sarebbero sicuramente sostenibili, poiché non verrebbero sottratti ettari di terreno per monocolture per i mangimi di mais e soia, sott’intendendo la cura che si avrebbe nel tutelare l’animale fino alla fine della sua filiera.

Concludendo con il raccomandarne una cottura non aggressiva ma che conservi e rispetti la qualità pregiata di tale alimento, inserendovi delle indicazioni specifiche sulla porzionatura e frequenza di consumo personalizzate (comprese ricette gustose, semplici e ricercate).

 9) Come possono i nostri lettori venire in contatto con Lei?

Sto effettuando il trasferimento del mio ambulatorio che, in ogni caso, rimarrà in provincia di Brescia.

I lettori possono contattarmi e vedere il mio lavoro attraverso i social Facebook

https://www.facebook.com/irenepalazzi.diet/

Si ringrazia la dottoressa Irene palazzi per l’intervista

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