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I bovini di cui ti nutri vivono l’intera vita in Zona Rossa

Ero indeciso se scrivere o meno qualcosa sul Covid-19. Nel momento in cui scrivo è Gennaio 2021 inoltrato e l’Italia sta iniziando a riprendere – con diverse limitazioni ed abbastanza lentamente – la sua vitalità.
In questo periodo di lockdown siamo stati costretti ad allontanarci ancora di più da quelle che dovrebbero essere le nostre buone abitudini: dal fare una bella passeggiata all’aria aperta, guardare l’alba ed il tramonto o, semplicemente, goderci ciò che la natura ci ha donato.

Siamo stati costretti – chi più chi meno – all’immobilità.

Avrai sicuramente notato che tra coloro che seguono la cosiddetta “dieta mediterranea” c’è stato un aumento drastico (per quanto fosse improbabile) di prodotti da forno.
Qui a Napoli ad un certo punto non si trovava in alcun modo il lievito e la farina (ma sembra che sia stato così un po’ in tutto il bel paese).
C’è chi per sfogare lo stress e la frustrazione di dover restare in casa senza poter uscire, vedere amici, parenti, il partner e/o andare a lavoro si è abbandonato alla visione compulsiva di serie TV con un analoga fame compulsiva di cibi a base di cereali e cibo spazzatura.
C’è chi, per paura, ha esagerato con le soluzioni disinfettanti o chi, ancor peggio, ha deciso in autonomia di comprare ed auto-somministrarsi le cure più fantasiose a base di antibiotici probabilmente inutili.
Dopo tutto la medicina ufficiale ha faticato – e fatica ancora – a dare soluzioni ragionevoli al corretto trattamento del Covid-19.

Ed io capisco e sono vicino ad ogni persona impaurita, stressata, infarcita di cibo industriale, avvelenata e quasi stordita da un’infinita e bombardante informazione dei media, da litri di disinfettante e  da esperti – o sedicenti tali – che continuano a dare aggiornamenti confusionari e contrastanti tra di loro.
Tra l’altro questo evento ha ricordato all’uomo una cosa molto importante: siamo degli esseri mortali.
Tutto in natura ha un inizio, una crescita, un apice, un decadimento ed una fine.
Dovrebbe essere chiaro per tutti, eppure, presi dai mille impegni della vita, tendiamo a dimenticarcene.
Non deve sorprendere, quindi, che per molti tutto ciò è stato un vero e proprio brutto risveglio.
Uno shock per tantissime persone che si sono risvegliate dal loro sogno di impotenza per per arrivare a sentirsi come bestiame pronto al macello.
Si sono sentite chiuse, costrette contro la propria volontà a mangiare cibo incompatibile con la propria natura, costrette a restare confinati dentro quattro soffocanti mura e con un inizio di sindrome da stress post traumatico dovuto ad una sensazione di avere perennemente una spada di Damocle sulla propria testa.

Vedere poi intere famiglie distrutte (in TV e sui social 24 ore su 24) con anziani – o meno anziani – morire lontano dai propri cari, tra atroci sofferenze…
… Corpi portati via chissà dove, chissà da chi…
Forse ha davvero fatto un po’ capire sulla propria persona cosa prova un animale in un allevamento intensivo.
Basterebbe valutare il proprio stato di salute psicofisico prima e dopo il lockdown per accertarsi del fatto che anche il più lieve distanziamento tra le nostre abitudini e le regole della natura non fanno altro che peggiorare il nostro apparato psico-fisico.
Quindi, se lo sappiamo, perché ci meravigliamo che tutto ciò debba valere anche per gli animali da allevamento?

Più allontaniamo gli stessi dalla natura più gli stiamo facendo male.
Più gli facciamo male più facciamo male a noi stessi perché avremo cibo povero e di scarsa qualità. Vuoi davvero mangiare carne di un animale obeso, stressato con abitudini alimentari completamente sballate e distanziato a vita dai propri simili?

L’allevamento dovrebbe tendere al rispetto della natura, alla cura del microbioma del suolo, a tenere viva la bio-diversità, al rispetto dei bovini che, alla fine del loro percorso di vita, ci doneranno un cibo dal valore nutrizionale eccellente.

Questa situazione ci ha fatto riflettere anche sulle emissioni di CO² nell’ambiente.

Per i vegani o animalisti di mezzo mondo gli allevamenti intensivi – da soli- rappresentano quasi i 2/3 dell’inquinamento mondiale…
… Eppure in questo periodo di lockdown gli allevamenti in tutto il mondo hanno continuato a lavorare e nonostante ciò si sono registrate rilevanti riduzioni delle emissioni di CO² portandole ai minimi storici.
Questo ci fa comprendere come il vero problema degli allevamenti intensivi sono più quelli indiretti (gravissimi in ogni caso), ma non tanto l’inquinamento dallo stesso prodotto.
Come al solito si guarda al dito e non alla luna.
È stato dimostrato – numeri alla mano – che sono tutte le abitudini contro natura, tra cui molte obsolete, ad inquinare.

Dovremmo pensare a fonti rinnovabili di energia, al rimboschimento o ad altre mille opportunità esistenti piuttosto che combattere contro la carne rossa.
Hanno cercato in tutti i modi di vendere l’idea che la carne rossa sia il nemico, piuttosto che innovare negli altri settori per migliorare il benessere umano.
Piuttosto che andare contro qualcosa andiamo verso le innovazioni.
L’ innovazione nel settore dell’allevamento è – in realtà- un ritorno alla natura, un ritorno alle tradizioni millenarie, ma con un grado di consapevolezza maggiore.

Una nuova consapevolezza che, unita alla tradizione, rispetti finalmente la terra, gli animali e l’uomo.
Una filosofia di allevamento sostenibile potrebbe eliminare anche la problematica di inquinamento ambientale) degli allevamenti intensivi (che seppur inferiore a quello proclamato dagli ambientalisti comunque esiste) e ridurrebbe quello proveniente da altre attività industriali o umane.

Questa consapevolezza inizia ad essere più diffusa e – tutto ciò – mi lascia ben sperare in una evoluzione positiva del settore e delle nostre vite.

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